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Utopia della memoria
Utopia della
memoria
Percorsi
di gruppi di donne nella provincia di Catanzaro
(Presentazione
di Renate Siebert a Soverato, 3 marzo 2009)
٭
Duplice
lettura possibile:
-
come eravamo venti, trent’anni fa, ieri?
-
Quale può essere il significato di queste battaglie, di questa
costruzione di relazioni, di reti, di associazioni per le giovani di
oggi, per voi ragazze e ragazzi, nella realtà di oggi?
٭A
partire da oggi appare sorprendente fino a che punto fossimo state –
come singoli individui e come gruppi organizzati – anche a
nostra insaputa, parte di processi culturali e sociali più
vasti.
٭Amelia
Paparazzo, nella sua introduzione, rimanda a connessioni di tipo
verticale:
le
donne del Sud, le loro vite piene di sacrifici e fatiche, loro, le
antenate, le “ madri” reali e simboliche, segnate dal
duro lavoro e spesso dall’emigrazione che profondamente ha
pesato sulle traiettorie biografiche di gran parte dei calabresi in
generale, e delle donne calabresi in modo particolare.
٭Io,
invece, vorrei soffermarmi sulle connessioni di tipo orizzontale.
Vale a dire i fermenti di movimento che ci hanno attraversato
in questi decenni e che fanno sì che siamo diventate, pur con
grandi diversità rispetto alle singole strategie politiche e
culturali delle varie espressioni del femminismo, tutte parte di quel
“ popolo delle donne” di cui parla Luce Irigaray.
٭Ho
letto le interviste, i documenti e le analisi di questo testo con
piacere e con una certa emozione.
٭Eravamo
in movimento, letteralmente. Partecipanti di una rete molto vasta e
articolata. Credo che si possa dire che la ricostruzione non
sistematica dei gruppi di donne in un raggio territoriale piuttosto
ristretto( Catanzaro, Soverato, Lamezia) ci offre, tuttavia, uno
spaccato ampio delle questioni in discussione, dal rapporto con i
partiti alla doppia militanza, dalle inquietudini della sessualità
al rapporto con la salute e con le istituzioni della “ mala
sanità”. Dal lavoro femminile tra produzione e
riproduzione all’intellettualità diffusa, al desiderio e
ai conflitti tra donne. Dall’uguaglianza alla differenza. Darsi
valore( finalmente), prendere la parola, gestire il proprio
corpo…osare.
٭Questo
testo, questa ricerca ha come titolo Utopia della memoria.
Memoria, perché invita le protagoniste di quegli anni a
raccontare i loro ricordi, a ricostruire la loro partecipazione a
quel vasto movimento del femminismo, del movimento delle donne. Ma
perché utopia? L’utopia è una proiezione
verso il futuro, utopia significa sogno, un sogno, in questo caso, di
libertà., di autonomia, il sogno di poter dire: ecco, questo
sono io, con i miei diritti, i miei doveri, i miei gusti e le mie
scelte. E chiedo rispetto per tutto ciò. Tener viva la memoria
di quelle lotte, di quella effervescenza collettiva e, insieme, di
quello sforzo molto personale e individuale di affermarsi come
persona - tutto ciò ci aiuta a realizzare quell’utopia
di un futuro più libero e rispettato.
٭Quindi,
questo testo rappresenta un esercizio della memoria: guardarsi dentro
e guardare indietro per lanciare questi sogni, questa utopia, in
avanti. Ma verso chi, con chi e per mettersi in relazione con chi?
٭Le
donne che incontriamo in questo testo pongono la questione della
trasmissione generazionale. La difficoltà di trasmettere alle
giovani generazioni, alle figlie e ai figli, l’esperienza e lo
spirito di creatività che ha connotato quegli anni, è
stata variamente tematizzata.
٭Credo
di conoscere abbastanza bene questo dilemma (sono madre di una figlia
femmina – e sono docente universitaria, e quindi in costante
rapporto con le giovani generazioni). Anch’io ho cercato di
trasmettere la mia, la nostra esperienza – apparentemente, mi
viene sovente da pensare, con scarso successo. A volte le giovani
studentesse mi guardano con una sorta di gentile compassione, sono
comprensive, come se dicessero (e a volte lo dicono proprio): “sì
, professoressa, abbiamo capito...ai vostri tempi…ma insomma,
oggi è tutto diverso. noi non siamo mica oppresse dagli
uomini!”
٭Tutto
giusto. Dobbiamo renderci conto che voi, le “figlie”, le
“nipoti” (in senso metaforico), delle donne che si
raccontano in questo libro, siete persone autonome che avete bisogno
di fare le vostre proprie esperienze. Siete ragazze ( e ragazzi) che
crescete in un mondo diverso dal nostro di allora, partite da
situazioni e presupposti che oggi appaiono “ovvi” e che
sono anche risultato delle nostre lotte, ma che, tuttavia, ormai sono
parte integrante del contesto sociale. Le nostre “ conquiste”
in termini di libertà, autonomia, accesso ad una serie di
servizi, garanzie legislative ecc., a voi possono sembrare scontate,
fanno parte del senso comune. Oggi altre appaiono le priorità,
altre le mete da conquistare: la convivenza interculturale, le sfide
della globalizzazione, la lotta contro il disastro ecologico e così
via.
ma
٭strada
facendo incontriamo oggi, ancora e ancora, alcuni nodi che erano
anche problemi prioritari per noi, come la sessualità, il
rapporto col proprio e con l’altrui corpo, il potere,
l’oppressione patriarcale, la violenza. In modi analoghi e,
insieme, diversi. E allora, leggendo questo libro, forse vi
ricorderete o scoprirete i nessi tra la vostra e la nostra
esperienza. Ho fiducia che di volta in volta capirete, compiendo un
vostro proprio percorso, analogie e dissonanze. Un libro come quello
che oggi qui presentiamo, vi potrà sicuramente essere utile.
Quando lo vorrete consultare, con i vostri tempi e con i vostri
ritmi.
٭Tuttavia,
non posso non ricordare in un’occasione come questa le
terribili questioni che segnano la cronaca nera di questi tempi:
aggressioni e violenze contro le donne, stupri, assassini ecc.; e,
contemporaneamente, aggressioni ad immigrati, a persone deboli come
disabili e anziani, a barboni, a tutti coloro che vengono individuati
come “altri” contro cui rivolgere la propria
aggressività, la voglia di dimostrare la propria forza, il
proprio dominio.
٭Dico
questo, per rammentare a tutti noi che la nostra democrazia è
un sistema fragile, un processo che ha costantemente bisogno di
essere alimentato. Due fenomeni soprattutto, il sessismo e il
razzismo, hanno segnato la storia moderna e, ancora,
rappresentano il cuore gelido, il cuore d’inverno del nostro
tempo. Sessismo e razzismo sono due strategie per inferiorizzare,
sottomettere, dominare l’altra e/o l’altro. Non a caso
queste dottrine si affermano con forza in Europa a partire dal
Sette/Ottocento, sono una reazione all’enunciato
dell’uguaglianza della Rivoluzione borghese. Vi ricordate.
Egalité, fraternité, liberté- uguaglianza,
fratellanza, libertà.
٭Ma
non tutti desideravano allora e desiderano oggi essere uguali e
liberi. C’è chi ha disperatamente bisogno di sentirsi
superiore, di tenere in pugno qualcun altro. A volte, più si è
deboli, mediocri, ignoranti e rancorosi e più si gode di poter
usare impunemente violenza verso un’altra persona, considerata
inferiore per nascita: il sessismo inferiorizza le donne, considerate
per natura più deboli, più stupide, meno capaci di
decidere in autonomia e in libertà; il razzismo dai tempi del
colonialismo, inferiorizza altri popoli, oggi gli immigrati, al fine
di dominarli, sfruttarli.
٭Nel
sessismo – come analogamente nel razzismo – si costruisce
un’immagine dell’altra, della donna, come inferiore, come
meno capace, come fisicamente e culturalmente bisognosa di essere
dominata. E alla lunga quest’altra, la donna o quest’altro,
il negro, l’islamico, l’immigrato – sotto la
costante pressione di quest’immagine che gli viene proiettata
addosso attraverso le parole, attraverso i gesti e, cosa
particolarmente grave, attraverso una legislazione discriminatoria,
alla fine tende a identificarsi con questa rappresentazione negativa.
٭Perché
dico questo? – vi può sembrare fuorviante rispetto al
nostro tema di oggi. Ma non è così. Lo dico, e con
questo chiudo, per farvi capire quale fu, allora negli anni ‘70/’80,
la spinta che ricordo come la più forte, la più
travolgente che ci fece mettere in dubbio l’intero sistema in
cui eravamo cresciute: ciò che veniva proposto e imposto, dai
media, dalla pubblicità, dai libri e, soprattutto dai
comportamenti degli adulti come dei coetanei maschi come immagine,
modello e rappresentazione sociale costrittiva della femminilità,
dell’essere donna, non aveva assolutamente niente a che vedere
con ciò che noi sentivamo, seppur confusamente, di essere e di
voler essere. Noi non eravamo – e non volevamo essere –
quell’ibrido a metà tra natura e cultura che altri
volevano imporci. Ecco perché le riunioni di autocoscienza: ci
raccontavamo fra ragazze, fra donne, cosa sentivamo nel profondo, i
nostri desideri, la nostra sessualità, i nostri dolori.
Volevamo, finalmente, diventare noi stesse ed essere riconosciute per
questo. Da lì la lotta, spesso drammatica, perché il
mondo intorno a noi non era affatto disposto a darci questo
riconoscimento.
٭Mi
domando, e domando a voi: ma oggi, a che punto le donne sono davvero
riconosciute come cittadine, come esseri umani liberi a pieno titolo?
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